A diciassette anni mi fecero pulire una cacca gigante sotto al portico di Via Montegrappa, davanti all’ingresso del negozio mentre disgustata e avvilita mi chiedevo che cosa c’entrasse col lavoro di commessa. Spesso facevo la cameriera portando la colazione delle 11 dal bar al personale del negozio e una volta mi cadde l’intero vassoio mentre ancora mi chiedevo perché quella mansione toccasse a me. Altre volte stavo in magazzino a stirare i capi che sarebbero stati esposti nelle vetrine e durante l’allestimento si lavorava ad oltranza, anche fino all’una di notte. Imparare a piegare era la cosa più difficile perché ogni capo richiedeva una piega diversa e un giorno mentre cercavo in tutti modi di sistemare una mantella gigante, la gerente mi chiese se mi facevo qualcosa perché non ci riuscivo e quando m’insegnavano come farlo se la pila non era perfetta la buttavano per terra come gesto punitivo pari ad uno schiaffo. Una sera invece, scomparvero dei soldi dalla cassa e ci chiusero dentro al negozio a chiave, minacciando di non farci uscire finché non sarebbero ricomparsi. Queste esperienze già mi stavano raccontando il tipo di ambiente e di lavoro che mi stavo scegliendo. Nessun controllo esterno, molti doveri e pochi diritti. Cambiai negozio, cambiarono le mansioni e da ultima ruota del carro, scomandazzata da tutti con ben poco rispetto, passai ad un negozio più piccolo dove piacqui subito alla gerente per il mio continuo darmi da fare. Ascoltavo, eseguivo, imparavo e quando mi ritennero all’altezza, a malincuore, mi spostarono in un altro negozio appena aperto dove mi aspettavano due anni indimenticabili. Da apprendista che ero, in breve tempo ricoprivo le stesse mansioni della gerente: dalla responsabilità delle chiavi del negozio all’utilizzo della cassa, i versamenti in banca, le vetrine e chiaramente vendita e pulizie. Ero contenta ma chiaramente i miei compiti non corrispondevano alla cifra del mio stipendio. Lavoravo al livello più basso ma essendo molto giovane e ingenua, mi facevo bastare le gratificazioni che ne traevo. E questo tran tran é andato avanti per parecchi anni in cui accrescevo la mia esperienza di negozio in negozio, riscontrando sempre le stesse dinamiche di sfruttamento. Ma al di lá della mancanza del giusto trattamento economico, troppe volte ho faticato ad accettare la mancanza di rispetto proprio a livello umano, come quando gli incassi non corrispondevano alle aspettative dei titolari creando quel senso di colpa costante o quando l’atteggiamento “io sono il capo e tu obbedisci” toglieva occasioni di collaborazione senza nemmeno capire che lavorare con la paura aiuta a sbagliare. Quante volte non sono stati rispettati orari, ferie godute, pause o permessi dati a seconda dei tiramenti dei capi. Addirittura per un certo periodo, lavorando in un centro commerciale, per riuscire a fare le ferie, chi rimaneva doveva lavorare dodici ore, smangiucchiando tra la porta del magazzino e chiedendo un occhio dal vicino per poter andare in bagno. Ho spostato cartoni immensi, ribaltato magazzini sgobbando come un mulo senza mai risparmiarmi ma per fortuna ho stretto anche legami profondi e incontrato persone amiche. Poi é arrivato il giorno in cui sono diventata gerente, coordinando il lavoro di due colleghe e a quel punto ho cercato di mantenere la mia professionalità, privilegiando sempre il rispetto. Oltre ad aver scoperto l’esistenza dell’indennità di cassa e la percentuale sulle vendite (manco fossero l’America!) dirigendo credo di aver imparato molto di più di quando eseguivo e ho compreso molto bene quanto fossero prioritarie l’armonia, la chiarezza e la collaborazione. Molte volte avrei potuto approfittare della mia posizione per scegliere la strada più semplice ma così facendo quello che avevo subito non sarebbe servito a nulla. E ancora oggi inorridisco quando incontro commesse della ‘vecchia scuola” che raccontano quasi col rimpianto le angherie subite, come se la sola sopportazione a certe forme di prepotenza fossero il vero sale della loro formazione.

Ai nostri giorni, credo che il mondo del commercio sia così radicalmente trasformato poiché le nuove generazioni hanno ben chiaro come non vogliano essere trattate e quanti sacrifici comporti questo lavoro in questioni di tempo e denaro, tra festività, ore di lavoro regalate, mansioni assurde e tanta ignoranza.

A distanza di tanti anni ho maturato che la reciproca crescita umana sia l’aspetto più importante su cui lavorare e non tollero più in nessun modo la sudditanza, dando in cambio tutto il mio entusiasmo a cui non so rinunciare.