Pensavo di uscire con qualche nozione su ChatGPT.
Sono uscita con un punto interrogativo gigantesco in testa e una voglia strana di… reinventarmi.

Appena si sono spente le luci in sala, è partita la sigla.
Non una voce robotica o un suono futuristico.

James Brown.
“People get up and drive your funky soul.”

Un groove deciso, potente, fisico.
E lì ho capito che questo non sarebbe stato un evento come gli altri.

Perché Montemagno ha lanciato un messaggio chiaro ancora prima di salire sul palco:
“Alzati. Guida la tua anima funky. Fai.”
Non subire il cambiamento.
Non aspettare che la tecnologia decida per te.
Muoviti. Agisci. Sii presente.

Non serve una laurea in informatica per affrontare l’IA.
Serve consapevolezza. E serve, soprattutto, essere vivi.

Mi aspettavo una lezione tecnica, piena di paroloni, dati e formule.
Invece è stata una chiacchierata leggera nei toni ma profonda nei contenuti, che mi ha travolta.
Non è stata una lezione d’informatica. È stata una mini guida emotiva per stare nel futuro — anche se fa scomodo. In tanti troppo presi a sentenziare che “il mondo fa schifo”. Ma, come ha sottolineato, è molto più facile lamentarsi che uscire dalla zona di comfort e mettersi in gioco. E io, in questo, mi sono ritrovata in pieno.

Nessun tecnicismo, nessuna lezione d’informatica. È stato un invito a conoscere, ad avvicinarsi senza paura. A fare pace con il futuro invece che subirlo. Perché l’intelligenza artificiale non si fermerà, e la cosa più sensata è iniziare a capirla, a farsela amica.

Montemagno è stato chiaro, diretto, e anche ironico.
Ha parlato delle paure, delle trappole e dei pericoli legati all’intelligenza artificiale, ma anche delle enormi possibilità che offre se scegliamo di conoscerla invece che subirla.

Mi è piaciuto che abbia parlato anche di sé, senza filtri:
le difficoltà, le crisi d’identità, le prese in giro, le cadute, le risalite.
Perché dietro ogni cambiamento c’è fragilità, c’è coraggio, c’è perdita di equilibrio.
E io mi ci sono ritrovata dentro. Fino in fondo.

La parola che mi ha più colpito?
Reinventarsi.
Da fuori può sembrare solo una bella parola.
Ma quando la senti dentro, ti trapassa.
È un richiamo. È una scossa. È un’urgenza.

Durante l’evento mi sono sentita curiosa, coinvolta, sconvolta.
Mi sono chiesta: cosa voglio fare davvero? Perché non ci riesco?
E ho pensato ai miei figli. Sarebbe meraviglioso che conoscessero questa IA…
o meglio: Invisibile Aiutante? Isterica Antagonista? Incredibile Amica?
Ancora non so. Ma so che devono imparare a starci dentro.

E poi, ecco l’impatto visivo.
Un robottino sale sul palco e inizia a parlare.
Poi compare il cane robotico, quello che tutti abbiamo visto nei video virali — ma dal vivo è impressionante, quasi mostruoso. Un misto di meraviglia e inquietudine.
Vedere questi “oggetti” muoversi come se fossero vivi… è lì che capisci che il futuro non è domani. È adesso.

E proprio per questo, Montemagno ci ha riportati con i piedi per terra.
Con idee semplici ma potentissime.
Come quel pupazzo lanciato nel pubblico: chi lo prendeva, parlava.
Niente realtà aumentata. Solo realtà, punto.

E poi lui, che scherza con autoironia sul suo soprannome “pelato di m…”, raccontando che ci è rimasto quasi male quando il fan ha smesso di scriverglielo sotto ai video.
Un modo per dire: anche chi è in prima linea, resta umano. E ci resta male.

Alla fine dello spettacolo avrei voluto stringergli la mano.
E chiedergli se la memoria storica musicale e quella umana possono davvero incontrarsi.
Se possono trovare un senso nella tecnologia.
Perché il mio progetto parla proprio di questo:
testimonianze musicali come eredità viva, da conservare e tramandare.
Avrei voluto fargli quella domanda. Ma forse era in camerino.
A mangiare banane.