Si spengono le luci del teatro insieme al vocìo del pubblico. Sul palcoscenico padroneggiano un tavolo e una sedia, neri, come lo spazio intorno. Sul tavolo pochi oggetti: un foglio, una busta, un francobollo, una biro, rossa come il vino nella bottiglia e un bicchiere. Entra in scena l’attore Paolo Nani occupandola tutta, per scrivere una lettera. Prova a farlo in quindici modi diversi utilizzando gli oggetti sul tavolo in una sequenza sempre uguale e sempre diversa. Il tempo improvvisamente cambia e non siamo più nel 2024 ma in una parentesi di “spazio umano” in cui é ancora possibile ridere allo sfinimento, osservando la stessa scena per quindici volte. Nonostante la distanza che mi separa dal palcoscenico, riesco a cogliere tutte le sfumature finendo per affezionarmi al personaggio che si esprime col corpo e brevi mugugni.
Ad ogni scena, solletica la curiosità sul “come” la interpreterà e non sul “cosa” farà e la grande magia é proprio qui. Infatti é proprio sul “come” uno spettacolo all’apparenza così semplice, possa tenere incollati fino a che non si accendono le luci. Resta solo il mistero di che cosa avrebbe voluto scrivere in quella lettera…