Percorrendo la via affollata ho riconosciuto da lontano l’ingresso dell’hotel, con le colonne del portico piene di lucine. Salita la gradinata rossa, il ragazzo sorridente mi ha aperto la porta a vetri mentre venivo inghiottita nella mia parentesi del martedì pomeriggio.

Questa volta sapevo già quale sala avrei raggiunto e nell’atrio dell’hotel risuonava la voce di un coro…il rosso intorno e la musica mi stavano già portando in quella dimensione fantasiosa che sto ben attenta a custodire anche quando le brutture quotidiane cercano in tutti modi di annientarla. Stupita mi sono fermata per un attimo ad ascoltare e ho riconosciuto la voce inconfondibile del Piccolo Coro che risuonava nella sontuosità del Majestic. Ho pensato: “Sarà un cd, bella idea!” mentre scendevo nella sala del the, adocchiando un posto preciso, lo stesso della volta precedente. Alcune persone erano già sistemate e dopo essermi accomodata col giusto anticipo, ho preso appunti veloci per non dimenticare alcune faccende. Poco dopo è arrivata Cinzia che mi ha presentato il direttore che dopo una manciata di convenevoli mi ha accompagnata al piano di sopra dove il piccolo coro stava facendo le prove per un concerto. In quei pochi secondi ho attraversato quella strana dimensione che mi porta a situazioni irreali mentre la porta dell’ascensore si apriva sulla sala con i coristi e Sabrina. Non ne sapevo nulla e il direttore mi ci aveva portato come se fosse proprio lì che sarei dovuta andare mentre mi confidava che avrei potuto benissimo disertare il pomeriggio poetico. Ciò che sentivo forte era la felicità, senza un motivo ben preciso, forse per quell’incontro così breve e gioioso e una coincidenza da far girar la testa così dopo lo stordimento iniziale, sono tornata in me raggiungendo il piano inferiore.

Anche questa volta partecipavano al the con la poesia due poeti con i loro libri e un ragazzino che inframezzava con la chitarra i vari interventi. Quattordici anni, unghie lunghe nella mano destra per afferrare meglio le corde e la fortuna di stringere tra le braccia una passione che sarà anche un tormento.
La tovaglia bianca si faceva stendere sopra, teiere e piattini di pasticcini mentre la poesia si mescolava con gli aromi delle bustine del the. Per un po’ ho pensato che la fragilità umana sia il bene più prezioso che esista, perché permette di scoprire la vera bellezza che rende l’altro così vicino. Attraverso le parole ho attraversato pensieri a metà, come stradine sterrate interrotte, perché non sono ancora avvezza a questa lingua così facile e difficile. Mi mancano molti ragionamenti che vengono ampiamente compensati da quel sentire così forte da diventare anche rumore quando fa troppo male o diventare silenzio che accarezza dolcemente la solitudine.

Calzo a pennello il personaggio di Alice mentre sorseggia il suo thè tra razionalità e immaginazione, in una lotta contro il tempo, sempre in cerca di una sé che appena trova, cambia.

