Ieri sera sono arrivata in anticipo ed ero sola nel corridoio della scuola deserto.
Così, per qualche minuto, ho pensato  a tutte le “me” che sono passate di lì, dal 1980 ad oggi: bambina, ragazza, donna ma ancora bambina.
Tornata sul praticabile dell’aula di canto, ho cantato con tutto il fiato e l’entusiasmo che avevo in gola attorniata da amici dell’infanzia, ritrovati per l’occasione e anche qualche sconosciuto. Abbiamo fatto una prova per la sagra cui siamo stati invitati a metà ottobre, a ricordo di Mariele e dei suoi “vecchioni”.
Tempo fa questi raduni mi facevano tristezza e nutrivo una sorta di snobismo, probabilmente per l’inconsapevolezza del tempo che scorre, anzi, corre. E quando questa cognizione è arrivata, ha preso il posto della vergogna.
In un paio d’ore scarso siamo riusciti a rimettere in piedi alcune canzoni annidate in un angolino della memoria, grazie agli attacchi della direttrice improvvisata che poi tanto improvvisata non era…
Ma tra una canzone e l’altra è scappato un pezzetto del “cantico delle creature” e quel calore che si è infilato tra le note. E allora ho pensato che, tutti noi, se a distanza di trenta e passa anni eravamo ancora lì, allora un significato c’è.